Racconti brevi
Luigi Calcerano
ROMA
Altro
che caffé',tutto chiuso anche lì. Mi misi in bocca l'Optalidon e mi
rassegnai a masticarlo.Girai verso il corridoio col soffitto coperto di tubature
ma dopo qualche passo capii che m'ero perso.Mi succedeva spesso al Ministero
anche quando ero appena entrato in servizio.Dopo un po' mi parve di poter
riconoscere un incrocio ed una bacheca di legno accanto ad una porta scrostata.
Rimasi
un po' ad osservare la grande serratura e poi,quasi automaticamente,tirai fuori
il mazzo delle chiavi.Sospirando isolai la chiave che negli ultimi anni aveva
rappresentato un enigma.
Carlina
me lo diceva sempre che invecchiavo.La provai ma non avevo alcun dubbio
e,certo,girava,apriva.Avevo portato in tasca per l'ultimo decennio la chiave
della sezione sindacale del Ministero.
Non
scricchiolò, dentro era tutto nella penombra;non era cambiato niente :ricordavo
perfettamente l'armadietto delle tessere,il ciclostile che ci macchiava sempre
le magliette.
-Accendi
la luce.
Non
l'avevo visto alla prima occhiata,ma nel tronetto che zoppicava c'era
rannicchiato Bista.
-Lo
sapevo che non m'ero sbagliato:era oggi la riunione,non e' vero?Mi hai fatto
paura che ti salta in mente di muoverti come un fantasma?
Non
aveva saputo che da anni ero viceprovveditore a Reggio Emilia,evidentemente.
-Ciao,Bista,ti
trovo bene...
Invece
era e pallido e e vecchio.Secondo i miei calcoli doveva avere e di
settant'anni.Era da lui continuare a lavorare al sindacato dopo essere andato in
pensione.
-Vieni
a darmi una mano con quell'ordigno,se no il volantino non si stampa.
Erano
piu' di dieci anni che non lo vedevo,pensavo quasi che fosse già morto, ma mica
gli potevo dire che ero viceprovveditore a Reggio Emilia,mi sarei sporcato la
camicia ma Carlina mi avrebbe capito.
-E'
tanto che non ti si vede,nemmeno quando me ne sono andato ti ho potuto
vedere....
Dovevo
essere già a Reggio Emilia ma mi vergognai come un ladro.
-...però
hai mandato un telegramma,qualche compagno non ha fatto neanche questo.
Annui
e mi recai al ciclostile ingaggiando una lotta senza quartiere.Era
peggiorato,ormai doveva riposare in un museo.Una striscia di grasso nero mi
decorò al momento della vittoria.
-Pensavo
non venisse più nessuno,capacissimi,a chiacchiere son tutti buoni poi ci sono
solo io.
Mi
allungò una mazzetta di carta giallina e compresi che volevo la smazzassi per
staccare bene i fogli l'uno dall'altro.
-Lo
sapevo che ti saresti rifatto vivo.
Fece
partire la macchina.Quelle ultime parole,che non meritavo,mi fecero piacere.Le
pagine si accumulavano nerastre nel contenitore.
-Vado
a prendere altra carta da Annigoni,non te ne andare però che c'e' bisogno.
Si
alzò e ciabattò via con i suoi scarponi troppo grandi.
Non
avevo più il mal di testa .Il vecchio Bista. Era buio e l'interruttore non
funzionava.Quanto tempo avevo passato in quella stanza.Avevo mandato un
telegramma.Vi sono vicino nel dolore per...
Mi
sedetti lentamente sul tronetto che zoppicava.
Vi
sono vicino nel dolore per la morte dell'indimenticabile compagno Giambattista
Carducci.
Corsi
alla porta ma non riuscii a ritrovarlo,mi persi ancora,poi fuggii dal Ministero
e non ritrovai più ne' la giacca ne' la borsa.Uno scambio tutto sommato
favorevole.
REGGIO EMILIA
Ero
stanco.
Uscito
dall'ufficio,la nebbia di Reggio m'aveva riempito e,senza vento, mi sentivo
ondeggiare.Come tutti quelli che m'avevano lasciato solo,i rari passanti
apparivano e sparivano dopo pochi passi. M'aveva sempre impressionato quel
fumoso clima scozzese nel cuore dell'Emilia ma,in quel momento la nebbia fitta
pareva inventata per accompagnare il mio disagio.Ero confuso.La gente mi passava
accanto allucinata,gli occhi fissi avanti a sé.
Sentivo
d'esser morto da tempo,perduto nel traffico delle cose da fare e da
ripetere,convinto dagli altri che il presente era più importante del passato e
del futuro.
Nessuno
poteva accorgersene,forse,ma c'era solo la mia ombra
distratta,distante,addestrata chissà perché a continuare a vivere come
sempre,a fare le stesse cose inutili,sempre più sciocche e banali.
Arrivato
a piazza Gioberti scivolai per via Mazzini,soffocato dai muri alti e grigi.
Non
c'ero arrivato per caso ma credevo d'aver dimenticato che lei viveva ancora lì,mani
bianche ed occhi di prateria.Naturalmente c'era ancora il suo cognome sulla
targhetta,come quell'unica volta che tremanti salimmo d'un fiato le scale.
Potevo
entrare a vederla,anzi era mio diritto. D'improvviso il tempo passato a
dimenticarla si spezzò. Vederla,dovevo vederla,era l'unica cosa che ormai
contava.
Non
ebbi problemi con la porta,non era la prima volta che penetravo in casa
d'altri,a sentire il profumo della vita vera,lo sciocco acciottolio dei piatti
in cucina,il rumore dei cassetti sbattuti.Rimanevo al buio ad ascoltare fino a
che un bambino piccolo non si metteva a guardare inquieto nella mia direzione o
il cane cominciava a guaire o ad abbaiare.
La
casa era come
lei,funzionale,elegante,spartana.Non m'aveva scordato. C'erano ancora i resti
della mia presenza dopo tanti anni,li vedevo occhieggiare nella penombra degli
scaffali,li sapevo affogati nei cassetti.
Il
suo atroce buonsenso,la sua crudele pulizia erano avvertibili insieme al
lievissimo profumo sospeso nell'aria.Che facevo lì, nel buio? Come il profumo
appena percettibile mi sentivo leggero,sfioravo appena il pavimento lucido con i
piedi .
In
bagno,era in bagno: stava cesellando gli ultimi severi ritocchi all'ordine
militare dell'appartamento.Chissa' quanto aveva pulito quella sera per
cancellare la mia presenza dalla camera da letto,da dentro di lei.
Attraversò
lo specchio della porta senza accorgersi di me. Smagrita,asciugata dal tempo e
dalla castità',zoppicava lievemente,le gambe muscolose coperte da una consunta
calzamaglia nera.Da lontano,da molto lontano poteva ancora sembrare una ragazza.
I capelli ingrigiti erano vaporosi e una splendida ragnatela di rughe le copriva
la faccia;canterellava,la voce da contralto,e le parole toccavano i denti troppo
regolari,incrinavano i lineamenti spezzati delle labbra distruggendo a tratti i
resti della sua bellezza incomprensibile.
Era
una donna ancora viva,scoraggiata,assurdamente inutile ma viva;persino a me
parve troppa la pena di quel suo peccato,l'unico che esiste,amare poco,amare
male.
Quando
volli apparirle urlò. Un urlo altissimo,disperato,terrorizzante,che non voleva
finire e mi svelo' in un attimo cos'ero diventato.
Solo allora capii d'esser davvero morto da tempo e lei era l'unica che poteva accorgersene,che poteva vedermi.Sparii per non turbarla oltre,ma sapevo che infestare quell'appartamento era l'ultima cosa che mi rimaneva da fare.L'avrei abitato con lei finche' fosse stato necessario.Ci saremmo fatti compagnia,avrebbe imparato a non aver paura di me,anche se ero solo l'ombra dell'uomo che l'aveva amata,l'ombra che solo per colpa sua non aveva pace.Differenza sottile,io vi dico che c'e' tra vita e non vita nella nebbia di Reggio.